LE OPINIONI DI IG PARTNERS n.11 – Il successo cruento delle rinnovabili

La Spagna ha cancellato i sussidi alle rinnovabili. L’Italia li sta rivedendo al ribasso. Metà degli americani non credono al cambiamento climatico. E’ la fine delle rinnovabili?

In realtà, se eccettuiamo i telefonini multimediali, il loro capostipite Apple e i social network come Facebook, pochi settori industriali hanno avuto un successo comparabile alle rinnovabili nella prima decade del terzo millennio. Le rinnovabili sono un mix molto differenziato di produzione energetica. L’idroelettrico è da sempre una fonte privilegiata e poco costosa per produrre elettricità; la biomassa una delle più antiche e meno sofisticate per produrre calore; onde e maree tra le più complesse e difficili da rentabilizzare. Ci siamo quindi concentrati sulle due ‘regine’ dei nostri tempi: l’eolico e il solare fotovoltaico.

L’affermazione di eolico, soprattutto, e di solare è incontrovertibile. Nel 2001 la capacità istallata combinata superava di poco i 25 GW, quasi tutti eolici, e la loro produzione elettrica complessiva si attestava allo 0.3% dell’elettricità mondiale. Dieci anni dopo è di oltre 240 GW di eolico e 66 GW di PV, complessivamente 12 volte tanto con un tasso medio annuo di crescita di poco inferiore al 30%. Quanto alla produzione elettrica si stima per il 2011 poco oltre 600 TWh (88% eolico), pari a circa il 3% della produzione mondiale totale (Tavola 1).

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Ma sarà in questo decennio che eolico e PV dovrebbero definitivamente affermarsi raggiungendo nel 2020 una quota della produzione elettrica mondiale vicina al 10% (Tavola 2).

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E va tenuto conto che nel settore dell’energia, per la sua natura e dimensione e quella degli investimenti richiesti, le quote si muovono molto lentamente.

Impressiona poi il fatto che nel quadriennio della Grande Recessione (2008-11) la crescita è continuata inalterata: la produzione di PV si è quasi quadruplicata mentre quella eolica é raddoppiata. E che la crescita abbia interessato quasi tutte le aree geografiche. Nell’eolico, dove una volta l’Europa regnava sovrana, con la Danimarca splendida dominatrice, oggi il Vecchio Continente fatica a contenere l’avanzata tumultuosa della Cina, che negli ultimi 5 anni ha avuto un tasso annuo di crescita del 60%, e oggi conta per poco meno del 20% della capacità mondiale (Tavola 3).

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L’Europa mantiene invece la sua leadership nel fotovoltaico, una tecnologia che nonostante i progressi recenti ha comunque ancora costi di produzione alti (Tavola 4).

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E’ confortante però che in questo decennio si siano fatti progressi straordinari nella riduzione dei costi di produzione (Tavola 5).

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Il costo delle rinnovabili: gli incentivi

L’obbiezione classica alle rinnovabili è che il loro sviluppo è ed è stato favorito da sussidi che appesantiscono i bilanci statali e che in tempi di raschiatura del barile come gli attuali sono soggetti a grande rischio di taglio. Ed in effetti se gli Stati, e l’Europa in particolare, non avessero mostrato un po’ di lungimiranza in un’era alquanto miope, forse questo successo sarebbe stato minore. In realtà è un’obbiezione un po’ logora.

  • Anche in questa era di esaltazione del ‘privato’ si riconosce che lo stato debba avere un ruolo in certe industrie-chiave. Nessun privato sano di mente ad esempio inizierebbe un’intrapresa nucleare, laddove è consentita, senza prima aver negoziato con lo Stato condizioni finanziarie e normative e opportuni incentivi.
  • Se questo è vero ci sono state e ci sono due buone ragioni per incentivare le rinnovabili dove sussistono le condizioni perché queste nel tempo diventino delle fonti a basso costo. In primis il riscaldamento globale continua, con buona pace dei negazionisti, e lo sviluppo delle rinnovabili contribuisce a mitigarne gli effetti. Inoltre, ed è forse l’argomento più convincente, le rinnovabili rafforzano l’indipendenza nazionale delle risorse energetiche. Se la Germania, ad esempio, dopo il divieto del nucleare ha deciso di puntare sull’eolico offshore è perché, sia pure a un costo non indifferente, valorizza una risorsa autoctona per una fetta non piccolissima dei suoi fabbisogni. Considerazioni analoghe hanno spinto la Gran Bretagna, ex nazione petrolifera, a spingere il suo eolico offshore.
  • Infine l’entità dei sussidi è stata molto esagerata. Statistiche mondiali in materia sono molto difficili ma una stima annua di 60/70 miliardi di USD è spesso citata: è l’uno per mille del GDP mondiale! Inoltre ben inferiore alla stima dei contributi alle fonti fossili (400 miliardi) che come ha appreso sulla sua pelle il Presidente Good-Luck Jonathan della Nigeria sono ben più difficili da togliere.
  • Detto questo, la determinazione dei sussidi non è una scienza esatta, come sappiamo bene in Italia. La tariffa solare 2010, nella quale poi sono rientrati grazie al ‘Salva-Alcoa’ anche molti impianti 2011, è risultata una manna stante che il costo del MW fotovoltaico scese molto più velocemente di quanto previsto quattro anni prima.

    Il costo delle rinnovabili: le perdite degli azionisti

    Se l’impatto sui contribuenti è meno forte e comunque più giustificato di quanto normalmente si pensi, vi è un gruppo che è stato ferocemente colpito: quello degli investitori in azioni quotate delle rinnovabili, in particolare proprio nell’eolico e nel solare. Abbiamo analizzato i risultati di 33 tra le principali aziende di rinnovabili nel mondo. I risultati sono strabilianti, in negativo.

Le 33 aziende che al primo gennaio 2008, o alla data dell’IPO se successiva, valevano €127 miliardi, hanno registrato nei quattro anni una perdita di 112 miliardi4, che corrisponde a un rendimento del -88%. Se anche scontiamo la performance media borsistica mondiale nel periodo (-17%) resta una perdita addizionale di settore di 90 miliardi (-71%)! (Tavola 6,7 e Appendice 1)

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Sono dati impressionanti! Va precisato che le perdite non interessano i produttori di elettricità da rinnovabili, ma essenzialmente i produttori di componenti industriali: moduli, celle, turbine e altri componenti eolici o fotovoltaici. Delle 26 aziende già in Borsa all’inizio del 2008 solo 2: la tedesca Aleo Solar (rilevata da Bosch) e la cinese Apollo Solar Energy segnano a fine 2011 un valore superiore a quattro anni prima, mentre delle restanti 7 con IPO dopo il 1 gennaio 2008 ha una capitalizzazione superiore a quella dell’IPO soltanto la nostra Terni Energia! L’ex Presidente del Consiglio Romano Prodi ammise qualche anno fa che uno dei suoi crucci era di non essere riuscito con la politica dei sussidi a creare un’industria nazionale. Col senno di poi, è stata una probabilmente fortuna. Abbiamo invece creato, anche se non per motivi nobilissimi, Enel Green Power, il maggior produttore puro da energie rinnovabili al mondo, un’azienda certamente redditizia.

A cosa è dovuta questa carneficina? Sostanzialmente a tre ragioni:

  • Primo, la storia del ciclo di vita di un’industria mostra che le fasi iniziali sono caratterizzate da grande concorrenza, molteplicità di entranti, sovraccapacità, guerre di prezzi e commerciali senza esclusione di colpi. Molti sono i partecipanti, pochissimi i vincenti. La storia classica è quella dell’industria automobilistica americana prima della seconda guerra mondiale, ma quelle più recenti dei PC, dei software applicativi per i medesimi non sono molto diverse.
  • Secondo, i tedeschi, che hanno per primi aggredito il settore manifatturiero del solare (celle e moduli) hanno scelto di combattere in un terreno loro poco favorevole, la Germania non essendo nota come la patria del sole. Vero che i tedeschi sono esportatori, ma la debolezza intrinseca del mercato interno e la feroce concorrenza cinese in un settore sì tecnologico, ma non iper-complicato, alla fine sono stati un handicap troppo forte.
  • Infine, la dipendenza da molteplici mercati sussidiati è risultata fatale. Oltre a rendere ciascun mercato difficile, a causa dei continui cambiamenti nelle condizioni e nella tempistica degli incentivi, ha reso globalmente l’industria più sensibile alla recessione. E visto che in molti settori (celle, moduli, turbine eoliche) si sono rapidamente create situazioni di sovraccapacità la conclusione è stata dolorosa per molti. In effetti sembrano uscirne meglio le aziende del settore che fanno parte di grandissimi conglomerati come Siemens e GE, e che possono meglio assorbire una congiuntura negativa protratta.

    Non tutto il settore delle rinnovabili e a maggior ragione quello ambientale mostra delle performance così disastrose. I produttori di elettricità, sia quelli prevalentemente eolici che quelli più diversificati, avendo potuto spesso fare calcoli su tariffe fisse e che durano 15-20 anni hanno potuto ammortizzare meglio i tempi duri. I biocarburanti sono stati i primi a perdere valore e quindi nel quadriennio mostrano un certo rimbalzo; l’efficienza energetica dovrebbe essere uno dei grandi vincitori del settore. Sta di fatto che l’analisi di 19 aziende solamente europee in questi settori mostra una perdita del 53% nel quadriennio, contro un 36% del MSCI Europa (Tavola 8 e Appendice 2).

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Non è certo una performance brillante, ma nemmeno lo sconquasso descritto in precedenza per gli industriali dell’eolico e del solare. E quattro aziende: il produttore di LED Dialight (UK +523%), il produttore di biocarburanti CropEnergies (Germania +34%), la diversificata Greenko (UK + 21%) e l’IPP eolica Eolus Vind (Svezia +34%) hanno capitalizzazioni crescenti nel quadriennio. In realtà la situazione mondiale delle aziende ambientali, come quella degli indici di borsa in generale, è meglio di quella europea. Uno dei casi più celebri è quello di Tesla Motors, produttore di vetture elettriche, che vale oltre 3 miliardi di dollari e che a tutt’oggi ha guadagnato oltre il 60% rispetto ai valori dell’IPO di giugno 2010.

La situazione in Italia

L’Italia, che ha una posizione brillante nelle rinnovabili classiche (idroelettrico) e nella nicchia geotermica, dove siamo da sempre tra i leader mondiali, non ha delle prospettive altrettanto fulgide nelle nuove rinnovabili. In particolare, l’Italia è, nel suo complesso un paese poco ventoso. Delle condizioni di incentivo particolarmente favorevoli hanno fatto sì che si diventasse il 7° paese nel mondo in quanto a capacità eolica istallata; purtroppo il progetto di legge di prossima attuazione, che segna il passaggio dai certificati verdi al sistema della feed-in tariff e dalle aste in ribasso peggiorerà notevolmente l’economicità, imporrà una scrematura di progetti e esistenti, ma riporterà il load factor (le ore di vento medie) a dei valori più economici. Certo, la transizione potrà avere i suoi momenti difficili.

Migliori, ovviamente le prospettive nel solare dove da un lato l’industria ha goduto di windfall profits nel 2010-11, e dall’altro la nostra insolazione è discreta e si è anche creata la capacità a sviluppare progetti. Certo non abbiamo un’irradiazione nordafricana, e possiamo avvantaggiarci poco di tecniche come il CPV; di sicuro il solare continua ad essere l’energia più cara per lo meno tra le grandi; ma con una gestione oculata e un continuo progressivo miglioramento dei costi la nostra posizione nel solare è destinata ad essere più solida e a rafforzarsi. Inoltre l’alto costo dell’energia in Italia fa si che la grid parity si possa raggiungere già tra uno o due anni.

Le biomasse locali fortemente incentivate non sembra possano giocare in futuro un ruolo di primo piano.

Borsisticamente, nel disastro generale, l’Italia ne esce quasi bene. Enel Green Power (EGP) è un astuto spin- off di un pezzo redditizio di ENEL (idro e geotermico) e difatti il suo valore ad inizio 2012 è, seppur di poco, superiore a quello dell’IPO del 2010; si è inoltre posizionato come la prima utility rinnovabile in Europa. Un’altra italiana, Terni Energia, un grande system integrator fotovoltaico che si sta diversificando nell’efficienza energetica è aumentata del 60% nel quadriennio: resta su valori piccoli (70 mio.) ma è comunque quasi un record!! Ha sofferto, ma in modo ragionevole, Alerion (-40%), oramai trasformata in un produttore eolico. Il peggiore è stato incontestabilmente Falck Renewables (-82%), non tanto per lo sviluppo eolico in Gran Bretagna, scelta preveggente, quanto per dei pregressi infelici di Actelios nel settore dei termovalorizzatori. Ma nel complesso il nostro quartetto ne esce relativamente bene. Certo abbiamo avuto dei caduti: Kerself, un conglomerato solare affossato dal mismanagement del precedente CEO, fatica a riprendersi dai postumi della cattiva gestione. Non va meglio a K.R. Energy, IPP diversificata e in crisi da mesi: la società a fine dicembre ha eseguito un’operazione di aumento di capitale di 27 milioni di euro, ma resta comunque nella “Black List” della Consob assieme a Kerself.

Le prospettive future

In conclusione il successo mondiale di eolico e solare è avvenuto a spese della profittabilità delle industrie che ne hanno supportato la crescita e di quanti in queste aziende hanno investito. La situazione è instabile. Pur avendo vento (soprattutto) e solare un costo molto più basso di produzione di elettricità rispetto a 10 anni fa, non sono ancora, se non in rari casi, in grado di sopravvivere completamente da soli. Quindi la dipendenza da un livello di sussidio anche se più basso rimane. Perché le imprese ritrovino economicità bisogna però che si produca una selezione anche forte, con parecchi fallimenti. I tempi non saranno facili anche per gli IPP, i piccoli produttori di elettricità da rinnovabili, in quanto incentivi ridotti e credito molto più difficile, ne riducono le capacità di sviluppo e il saggio di profitto nell’immediato. Le grandi utility, come condor, volteggiano alla ricerca di prede da acchiappare a bassi prezzi.

Quella delle rinnovabili continua a non essere un’industria facile. Più adatta oramai a grandi gruppi alla ricerca di possibilità di sviluppo che a investitori individuali. Di sicuro i benefici per i vincitori potranno nel tempo essere importanti!

Milano, febbraio 2012

Appendice 1

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Appendice 2

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