IG PARTNERS VIEWPOINTS n.3 – L’ambiente come opportunità industriale

Alla fine di ottobre di quest’anno in Italia e tra l’Italia e la UE si è aperta una vera battaglia di numeri sui costi che le industrie e il paese dovrebbero sopportare per raggiungere gli obiettivi UE nel 2020: 20% del consumo energetico da rinnovabili; -20% di emissioni di CO2, rispetto al 1990 o al 2005 a seconda del settore; un miglioramento, solo auspicato, del 20% nell’efficienza energetica. Adempiere agli obiettivi costerebbe, secondo una nota del Ministero dell’Ambiente del settembre 2008, tra i 23 e i 27 miliardi di euro all’anno; successivamente il Ministro Prestigiacomo, sulla base di un modello econometrico della UE, li ha quantificati in 18 miliardi l’anno (1,14% del PIL), mentre la Commissione, sulla base di un altro scenario dello stesso modello, li stima in circa 10 miliardi. Infine la McKinsey, che ha calcolato ‘curve dei costi di abbattimento’ della CO2 in vari paesi del mondo e che include i benefici oltre che i costi delle misure di efficienza energetica, li valuta in circa 4 miliardi all’anno, sulla base di dati non resi pubblici.

Le misure ambientali per mitigare gli effetti del riscaldamento globale e per ovviare alla difficoltà dei combustibili fossili, petrolio in particolare, nel far fronte alla richiesta mondiale di energia in condizioni ‘normali’ di crescita economica si articolano in due direzioni: (1) la sostituzione dei fossili con fonti alternative, rinnovabili come l’eolico e il solare, o il nucleare, e (2) l’introduzione di misure di efficienza energetica. Le rinnovabili vanno spesso sussidiate almeno in una fase iniziale, come avviene in Italia con i Certificati Verdi e, per il solare, con il Conto Energia. Una maggiore efficienza energetica, a sua volta, comporta di solito un investimento iniziale: una nuova turbina in un processo industriale; dei nuovi sistemi isolanti nei tetti delle case; l’acquisto di elettrodomestici o di un’automobile meno energivori. Dei costi quindi ci sono, verosimilmente si attesteranno vicino allo 0,6-0,7% del PIL, senza però contare i benefici di più lungo termine; in un paese dove l’industria manifatturiera rappresenta il 16% del PIL1 non vanno trascurati. E il Governo probabilmente fa bene a rinegoziare con la UE il post-Kyoto.

Ma soffermarsi solo sui costi è impostare male il problema, come dimostrano i fatti. Negli otto anni tra il 1° gennaio 2000 e il 31 dicembre 2007 l’Italia ha registrato la crescita economica più bassa dei paesi industrializzati: 1,1%2. E non certo a causa del suo fervore ambientale: all’obiettivo di diminuire i gas a effetto serra del 6,5% rispetto al 1990, l’Italia ha risposto registrando nel 2005 un aumento del 12,5% e è con Danimarca e Spagna uno dei tre paesi, su ventisette, che secondo la Commissione Europea3 non raggiungerà gli obiettivi di Kyoto. Nello stesso periodo la Germania li aveva ridotti del 18,7%, rispetto a un obiettivo di riduzione del 21%; il Regno Unito del 15,7%, la Francia dell’1,9%. Tre paesi con un PIL superiore al nostro e con una crescita economica maggiore della nostra!

Il fatto è che l’ambiente è anche un’eccellente opportunità di business. In Germania i dipendenti nel settore delle rinnovabili erano 259.000 nel 2006; in Spagna, che ha metà della popolazione tedesca, 89.000 nel 20074. Si sono creati, dal nulla, veri e propri giganti industriali in pochi anni. Nelle turbine eoliche la danese Vestas capitalizza, ai prezzi stracciati della Borsa di oggi, 5,9 miliardi di euro e impiega 17.000 persone; la spagnola Gamesa vale 3 miliardi e ha 7.000 dipendenti; il trio tedesco Enercon, Nordex e Repower impiega 11.000 persone. Il produttore spagnolo di elettricità rinnovabile Iberdrola vale 10 miliardi. Nelle celle e nei moduli solari le tedesche Q-Cells e Solarworld valgono assieme 6 miliardi e impiegano oltre 3.000 dipendenti; nella produzione di silicio e di wafer emerge la norvegese REC con 2.200 dipendenti e un valore di borsa di 4 miliardi. Nel nucleare, come è noto, dominano i francesi con Areva: 66.000 dipendenti per 14 miliardi di capitalizzazione. E questo per restare in Europa, perché grossi produttori e operatori di rinnovabili si trovano in Giappone e in Cina. E se in Giappone si tratta di colossi classici dell’elettronica come Sharp, Kyocera, Sanyo e Mitsubishi convertitisi parzialmente al solare, in Cina sono di solito nuove aziende come Suntech, LDK Solar, Motech e Yingli. Il ruolo italiano nell’industria ambientale purtroppo è ancora modesto: i più grandi in Borsa Actelios, GreenVision, Erg Renew valgono tra i 100 e i 170 milioni5; analoghe le dimensioni delle principali non quotate. E questo nonostante l’Italia goda in alcuni settori come il solare di evidenti vantaggi geografici.

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Ci siamo soffermati sulle rinnovabili perché i dati sono più facilmente reperibili e i raffronti più facili. Ma le opportunità sono altrettanto allettanti anche se più frastagliate nell’ambito dell’efficienza energetica, dove al momento, da noi si ha solo un numero limitato di PMI.

Perché questo ritardo? In verità gli incentivi per le rinnovabili in Italia sono oggi buoni, e nemmeno troppo costosi per la comunità (0,3% del PIL) anche se poi la realizzazione effettiva di campi eolici o solari passa per il labirinto delle autorizzazioni locali che spesso la rendono un inferno. Gli imprenditori italiani però necessitano di segnali chiari che li rassicurino sul continuo supporto del settore da parte del Governo. Il quale, a sua volta, deve prendere coscienza che l’industria ambientale può essere uno dei pochi settori di punta della nostra futura crescita economica.

C’è di più. Oggi i problemi ambientali passano in secondo piano grazie, si fa per dire, alla recessione dei paesi avanzati. Questa riduce l’attività economica e quindi le emissioni di gas serra e la domanda di petrolio, con conseguente discesa dei prezzi. Ma, a meno di una depressione di molti anni, che nessuno si augura o prevede, la crescita economica riprenderà. Il costo marginale di estrazione dei nuovi giacimenti di petrolio oggi è tra i 70 e i 90 dollari, mentre il prezzo si aggira sui 60. La cronaca abbonda quindi di progetti petroliferi e rinnovabili in difficoltà come le sabbie petrolifere canadesi e le acque profonde dell’Africa Occidentale, ma anche l’abbandono di Shell del progettato parco eolico off-shore più grande del mondo. Il momento è infatti ottimo per i cacciatori di prede aziendali. Come sempre quindi la ripresa rischierà di trovare l’offerta impreparata con conseguenze negative prevedibili sui prezzi. Non a caso lo IEA prevede che il prezzo del petrolio ritorni sopra i 100 dollari.

Il momento per spingere rinnovabili, nucleare ed efficienza energetica è oggi. L’industria ambientale riceverà probabilmente una nuova spinta anche da parte del nuovo Presidente americano, che su questi temi si è sempre espresso in modo favorevole.

Milano, Novembre 2008

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