LE OPINIONI DI IG PARTNERS n.6 – “Shine baby shine!”

Mai come negli ultimi mesi le energie rinnovabili sono state sotto attacco da parte di stampa e politici, e la fonte più bersagliata è stata senza dubbio il solare: costoso da installare, inefficiente nell’utilizzo, brutto da vedere, il solare, in particolare quello fotovoltaico, sembra essersi guadagnato sul campo la maglia nera della green economy.

Ma le cose stanno veramente così? In realtà, i numeri registrati dal solare fotovoltaico negli ultimi anni sono impressionanti. La nuova capacità installata annuale è passata da poco più di 330 MW nel 2001 a 7,2 GW nel 2009, con un incremento di oltre 20 volte. La crescita media è stata del 34% annuo tra il 2001 e il 2006, e addirittura del 65% tra il 2006 e il 2009.

Nonostante tutti i maggiori mercati stiano rivedendo al ribasso gli schemi di incentivazione della tecnologia – Germania e Italia in primis – tutti gli analisti prevedono una crescita a doppia cifra anche nei prossimi anni, con tassi di crescita medi che si attesteranno tra il 15% e il 35% annuo almeno fino al 2013: la crescita sarà trainata dai mercati di Stati Uniti, Giappone e Cina, che andranno a costituire circa il 50% della domanda, raddoppiando la loro quota di mercato rispetto al 2009. Le potenzialità di crescita sono enormi, basti solo ricordare che la Germania, il leader mondiale del fotovoltaico, ha all’incirca le stesse ore di sole dell’Alaska.

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Nuovi colossi industriali sono nati e stanno crescendo: già oggi l’americana First Solar è tra i tre player quotati più grandi per capitalizzazione nel settore delle rinnovabili, e sono circa una decina le società solari con oltre un miliardo di dollari di market cap. E se alcuni tra i player europei faticano a reggere la competizione e perdono quote di mercato, nuovi colossi asiatici li stanno già sostituendo, guidati da un’agguerrita pattuglia di società cinesi che hanno assunto un ruolo determinante nella riduzione dei costi di produzione del fotovoltaico.

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Il mercato in realtà viaggia sempre più verso la sovracapacità in ogni segmento della catena del valore. Se questa non è una buona notizia per i player dotati di strutture di costo meno competitive, lo è di certo per chi acquista: si è passati in breve tempo da un seller-market a un buyer-market, con prezzi che sono scesi rapidamente e che si prevede continueranno a farlo almeno nel breve-medio termine, come conseguenza di una riduzione nei costi di produzione ipotizzata nell’ordine del 15%-25% nei prossimi tre anni.

Questo significa anche che i newcomer che si affacciano oggi sul mercato devono affrontare una competizione molto dura: per i prossimi anni ci si dovrà aspettare una fase di consolidamento del settore, con la scomparsa di società che non riusciranno a rimanere competitive e la creazione di grandi player integrati.

Resta il nodo dei generosi incentivi, così determinanti nella crescita del mercato: vale la pena ricordare che, per quel che riguarda l’Italia, i sussidi al fotovoltaico sono finanziati dalla bolletta elettrica pagata dai cittadini, e non costano quindi un solo euro allo Stato. Si stima anzi che tra i 2/3 (oggi) e i 3/4 degli incentivi (in futuro) erogati nel nostro Paese entrino nelle casse dello Stato sotto forma di tasse o di evitati costi di emissioni di CO2, senza considerare i benefici sulla salute pubblica derivanti dalle mancate emissioni da combustibili fossili. L’onere imposto dagli incentivi sui costi del sistema energetico non appare eccessivo, se consideriamo che l’impatto del fotovoltaico sulla componente A3 della bolletta – destinata a promuovere la produzione di energia da fonti rinnovabili e assimilate – ammonta per il 2009 a 367 milioni di euro, contro gli oltre 920 milioni destinati al sostegno delle fonti fossili tramite il CIP6, e nemmeno eccessivo appare l’onere per il consumatore visto che tale importo non sembra arrivare nemmeno all’1% dell’ammontare totale della bolletta.

Gli incentivi sono inevitabili per sostenere la tecnologia durante la sua fase iniziale, ma non sono comunque destinati a durare per sempre: anche se restano fondamentali per la crescita del mercato nel breve-medio termine, il loro ruolo è di accompagnare il settore verso il raggiungimento della grid parity, ovvero il momento in cui il costo dell’energia generata dai sistemi fotovoltaici diverrà competitivo con quello delle fonti tradizionali, e di conseguenza il settore potrà fare a meno degli incentivi. Il vero test per il fotovoltaico è la rapidità con cui questo potrà avvenire: logica vuole che a quel punto la domanda potrebbe avere una vera e propria esplosione.

In realtà, la parità verrà raggiunta in momenti differenti a seconda dell’area geografica, poiché sarà determinata, oltre che dal costo dei sistemi (che in buona misura può essere assimilato a una commodity) anche dall’insolazione della località di installazione dell’impianto e dal costo di generazione dell’elettricità dalle fonti tradizionali. Tenendo conto di queste variabilità, alcuni analisti ritengono che la grid parity potrà essere raggiunta in molte location quando i costi di installazione degli impianti scenderanno sotto i 2 $/W, dai 3-3,5 $/W attuali.

Benché questo gap possa sembrare ampio, le stime indicano che già entro fine 2012 i costi di installazione potrebbero scendere anche fino a 2,3 $/W, grazie a miglioramenti tecnologici, economie di scala e ulteriore calo del prezzo del silicio: di conseguenza non sembra irragionevole ipotizzare che la grid parity possa essere raggiunta in molti mercati entro 3-5 anni, e addirittura prima in alcune aree caratterizzate da elevata insolazione ed elevato costo dell’elettricità (tra cui Italia, Giappone e Sud Ovest degli Stati Uniti). La definitiva affermazione del fotovoltaico potrebbe essere quindi più vicina di quanto comunemente si pensi.

Diverso è il caso del solare termodinamico o CSP, che ha un mercato ancora limitato (nel 2010 le installazioni annue potrebbero superare il GW per la prima volta) e la cui crescita è stata molto più lenta rispetto al fotovoltaico, nonostante si stimi che già oggi i costi di generazione di elettricità da CSP siano più bassi rispetto al fotovoltaico (0,20-0,30 €/kWh contro 0,35/0,45 €/kWh) e che siano destinati a diminuire ulteriormente – fino al 10-30% entro il 2015 e al 35- 50% entro il 2020 – con l’ingresso del mercato in una fase più matura. La riduzione dei costi sarà frutto sia di economie di scala che dell’implementazione a livello commerciale di innovazioni tecnologiche già testate.

Le difficoltà nell’affermarsi del CSP sono legate ad alcune sue caratteristiche: è location specific (adatto per zone aride e assolate), la tecnologia non è ancora del tutto consolidata, è caratterizzato da un iter autorizzativo particolarmente tortuoso (si tratta tipicamente di impianti grandi dimensioni), e non beneficia di incentivi altrettanto diffusi e generosi come quelli a favore del fotovoltaico. Tuttavia, il CSP ha alcuni vantaggi significativi, come la possibile integrazione con centrali di tipo tradizionale (con cui condivide lo schema fluido/turbina) e la possibilità di immagazzinare l’energia tramite sistemi di storage. Questa caratteristica lo rende di particolare interesse per le utility, che necessitano di elettricità dispacciabile, ossia erogabile in funzione della domanda.

E’ proprio grazie a questi vantaggi e all’attenzione delle utility che si prevede nel breve termine una notevole crescita nelle installazioni, con la messa in funzione di una pipeline di circa 11 GW entro il 2015 (dall’ 1,5 GW previsto in funzione per fine 2010), concentrati all’85% in Stati Uniti (nel Sud Ovest soprattutto) e Spagna, paesi caratterizzati sia da condizioni di insolazione particolarmente favorevoli sia da meccanismi che favoriscono la crescita del settore, ossia Renewable Portfolio Standard negli Stati Uniti (imposizione alle utility di quote minime di produzione di energia da fonti rinnovabili) e feed-in-tariff in Spagna.

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Un altro segnale che conferma il crescente interesse nei confronti del CSP è la discesa in campo di alcuni colossi delle energie tradizionali: il leader mondiale dell’energia nucleare, la francese Areva, ha acquisito l’americana Ausra, che detiene una tecnologia innovativa basata sull’utilizzo di specchi piani, mentre Siemens ha acquisito il 100% dell’israeliana Solel e il 28% dell’italiana ASE (Archimede Solar Energy), entrambe specializzate nella costruzione di componenti per impianti CSP. Anche ENEL ha mosso i primi cauti passi nel settore, con l’inaugurazione il 14 luglio scorso dopo una lunga gestazione del primo impianto CSP italiano, un pilota da 5 MW basato sulla tecnologia innovativa fornita proprio da ASE.

Il solare è qui per restare, e se resistenze e scetticismi non sono mancati e non mancheranno, i segnali di un cambiamento ci sono tutti.

Era solo il luglio di un anno fa quando il CEO di BP Tony Hayward rivendicava con orgoglio di aver imposto un cambiamento di rotta a una società che prima della sua nomina stava andando nella “direzione sbagliata”, con troppe persone impegnate a “salvare il mondo” con le rinnovabili e la campagna di immagine incentrata sullo slogan “Beyond Petroleum”. Hayward non avrebbe mai potuto immaginare che da lì a pochi mesi sarebbe arrivato il disastro della Deepwater Horizon, che l’avrebbe costretto ad annunciare le dimissioni e avrebbe convinto nientemeno che Larry Hagman, l’indimenticato JR del serial “Dallas”, il petroliere malvagio per antonomasia, a girare uno spot per SolarWorld, magnificando l’energia solare con lo slogan “Shine baby shine!”…

Milano, Luglio 2010

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